Il divano di Istanbul

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Autore: Alessandro Barbero
Titolo: Il divano di Istanbul
Editore: Sellerio
Anno: 2011
Pagine: 220
Prezzo: 8

Non sono tanti i libri che possono vantare rigore storico e carattere divulgativo. Questo libro di Alessandro Barbero, storico e docente presso l’Università del Piemonte Orientale, lo può fare.
È proprio questa caratteristica, a mio avviso, a renderlo particolarmente prezioso: anche perché la materia trattata, non certo ostica di per se stessa, richiede tuttavia alcune cautele particolari…
Tratteggiando, infatti, la parabola storica dell’Impero Ottomano, per secoli profondamente disconosciuto – o peggio, incompreso e ridotto a pochi cliché – il libro deve tener conto di parlare di un universo ancora sconosciuto ai più. Per questo è necessaria la competenza dello storico, ma per lo stesso motivo è essenziale la capacità del divulgatore.
Queste qualità erano, credo, ben presenti nella mente di Sergio Valzania, quando – nel 2011 – invitò l’autore a scrivere questo testo per la serie “Alle otto della sera”, in onda su Rai Radio2. Dalla lettura radiofonica, articolata in venti puntate, nascono i venti capitoli del libro, pubblicato da Sellerio.
Per chi preferisse alla lettura l’ascolto, c’è ancora la possibilità di ascoltare le puntate in Podcast.
Il libro riesce, con una chiarezza e lucidità rare, a riprendere e a smantellare i tanti luoghi comuni che l’Occidente ha costruito sull’Oriente, a cominciare dalla facile equivalenza Impero ottomano=Impero turco (magari con l’ulteriore omologazione al Mondo Arabo, aggiungo…). Concetti più che mai importanti, per capire il passato dell’area, ma anche dell’intera Europa, e per comprendere meglio il presente della Turchia, senza cedere alle semplificazioni…Ulteriore curiosità: quando il libro fu presentato al Salone di Torino, l’evento su accompagnato dalla musica del nostro collaboratore Carmelo Siciliano, che accompagnava il canto dell’amico Thoni Sorano, grande appassionato ed esperto di Turchia.

Alessandro Barbero ricorda in questo libro che nel 1515 il sultano Selim il Terribile emanò un decreto in base al quale veniva condannato a morte chiunque si occupasse di stampa nell’impero ottomano. Un atto tempestivo, dato che la Bibbia di Gutenberg era uscita dai torchi da pochi decenni, e insieme devastante.
A ragione l’iniziativa viene indicata come uno dei motivi che resero l’Oriente più debole dell’Occidente. La comunicazione è una ricchezza e nello stesso tempo uno dei tratti significativi della nostra modernità, nella corsa verso il futuro esserne privi risulta un handicap molto pesante.
Il “chiunque” del decreto sultanale identifica una comunità nella quale spiccano gli editori, coloro che fanno i libri. La radio non c’era ma non credo che Selim il Terribile l’avrebbe considerata di buon occhio.
Gli editori sono persone spesso molto legate agli autori, ma i momenti operativi rimangono ben distinti. Pubblicare un testo o realizzare un ciclo radiofonico non è l’atto terminale di un processo innescato e condotto da altri, costituisce piuttosto un modo utile di partecipare alla sua produzione, in quasi tutte le sue fasi. Chi scrive lo fa spesso, quasi sempre, in vista o almeno nella speranza di una pubblicazione e molto di frequente capita che sia l’editore a sollecitare la scrittura, per calarla, come nel caso di «Alle 8 della sera», in un progetto del quale ha tracciato i contorni. Ha stabilito i vincoli, come direbbe Raymond Queneau. Anche questo libro nasce da una sollecitazione editoriale, da una richiesta rivolta a un autore perché dedicasse il suo sapere, la sua attenzione e il suo prezioso e limitato tempo a questo preciso testo anziché a un altro.
Gli editori non diventano concorrenti solo sugli scaffali delle librerie, lo sono ben prima, al telefono o al tavolo del ristorante, a volte in luoghi lontani e improbabili come la ventosa Fokstugu in Norvegia, quando blandiscono, supplicano, minacciano e incoraggiano gli autori affinché scrivano per loro.
Questo induce nell’editore la convinzione, l’illusione?, di partecipare in modo intenso e decisivo alla produzione letteraria e al momento della pubblicazione gli dà una grande soddisfazione. Il libro è intimamente suo e quando è venuto bene come questo ne va orgoglioso.
Se qualcuno avesse spiegato tutto questo a Selim il Terribile forse le cose sarebbero andate diversamente. L’editoria è un’attività culturale, una professione, per alcuni una vocazione, ma soprattutto costituisce un piacere sottile e raffinato: messa la questione in questi termini, nessun sultano che si rispetti si sarebbe mai sognato di proibirla.